CAPITANO - “Beh, se un mio compagno ha qualche dolore e recupera è un eroe, se lo faccio io invece vengo deriso. A me dispiace perché non penso mai di aver mancato di rispetto a nessuno. Forse sarò meno amato perché sono più riservato di altri, meno voglioso di apparire ma non posso farci nulla, sono fatto così. La fascia condiziona quindi i giudizi? No, probabilmente no. Non è questione di essere o meno il capitano, di numero di maglia, ma di quello che sei. Dovrei forse aprirmi di più ma non posso snaturarmi”.
RIDERE - “Non rido mai? (Sorride) Chi mi conosce sa che è una stupidaggine. In campo è più difficile, certamente non mi aiuta il fatto di essere un ragazzo riservato. Sono una persona semplice, che viene da una famiglia altrettanto semplice. Però, glielo assicuro, sono soltanto me stesso. A me non serve baciare la maglietta per dimostrare che amo la Roma perché quel gesto può farlo anche uno che è arrivato da cinque minuti. L'amore per questa squadra l'ho dimostrato tante volte. Come quando ho voluto a tutti i costi giocare un derby che poi mi è costato, per non essermi fermato per un problema al flessore, gli Europei vinti a Wembley. Ma avevo dato la mia parola al tecnico d'allora (Fonseca, ndr) e non potevo tirarmi indietro”.
TANTI INFORTUNI - “A livello di condizione, la passata stagione è stata la più complicata della mia carriera. Mi sono fermato subito dopo la seconda partita, quando stavo in nazionale. Un infortunio banale, roba di 2-3 settimane. Appena rientro, segno con il Frosinone e con il Servette e mi devo rifermare subito. Così è stato come prepararsi, fermarsi e riprepararsi nuovamente. Il problema però è che quello che hai fatto prima lo perdi e devi ricominciare da capo. Ci vuole tempo a quel punto. Da agosto a dicembre sono stato sempre male, mi sono ripreso per un paio di mesi e a giugno inevitabilmente mi sono spento di nuovo”.
NUOVI - “Sono tutti bravi ragazzi. Se proprio devo fare un nome, dico Soulé. Ha delle qualità per diventare un calciatore fortissimo”.
DOVBYK - “Tecnicamente più di Lukaku mi ricorda Vieri. Il lavoro che faceva Romelu lo può anche fare ma lui vive proprio per il gol. È uno che vuole stare negli ultimi 16 metri o almeno avvicinarsi ad una zona dove sa che può segnare. Ama giocare in profondità. E poi è una bestia. Oggi abbiamo fatto la panca inclinata, ha fatto i pettorali con 35 chili…”.
MIO RUOLO - “Il mio è un ruolo a metà, tra il trequartista e il centrocampista. Mi esprimo al meglio da mezzala però con De Rossi ho tanta libertà di andarmi a trovare la posizione in campo. Soprattutto per come si sta sviluppando il calcio negli ultimi anni non si occupano più posizioni fisse. Per questo i moduli sono elastici. Bisogna muoversi tanto, cercare gli spazi per poterli attaccare. Sì qualcosa di simile l'ho fatto anche in Nazionale e ha creato qualche vocina... È normale che io non posso fare l'esterno, sono un centrocampista. Ma anche con Spalletti l'idea è che avrei ricoperto quella posizione nella fase difensiva e poi quando avevamo la palla dovevo entrare dentro al campo e lasciare spazio al terzino che saliva. E quindi mi trasformavo in quello che sono, un centrocampista offensivo”.
NAZIONALE - “Ma no, c'è dispiaciuto soltanto non esprimerci come avremmo potuto. Per me Spalletti è un allenatore eccezionale, ti migliora”.
DA SPALLETTI A DE ROSSI - “Ci devo pensare bene, altrimenti poi si arrabbia e chi lo sente. Allora... Il primo è veritiero. Le racconto un aneddoto. Io e Daniele ci conosciamo da quando lui giocava. Il primo giorno che arriva mi chiama e mi chiede alcune cose. Alla fine, alla presenza di altri compagni, mi fa: "Ricordatevi che vi voglio bene, ma voglio più bene a me e a mio figlio. Quindi sappiate che se non vi allenate e giocate come si deve, andate fuori". Parole che ho apprezzato tantissimo. È preparato. L'ho già detto altre volte ma come studia le partite, mi colpisce continuamente”.
DIFETTI - “Lei mi vuole mettere nei guai (ride). Boh... permaloso? Sì permaloso da morire. No, ora che ci penso forse più lunatico di permaloso. Il problema è che non si tratta di una transizione normale, del tipo un giorno sei felice e l'altro metti il broncio. Lui si sveglia la mattina ed è felice. Dopo mezz'ora è arrabbiato, poi torna a sorridere e dopo un'altra ora gli 'rode' di nuovo. Vabbè, devo cercarmi un'altra squadra…”.
OBIETTIVO STAGIONALE - “La Champions, è ora di tornarci. È il nostro obiettivo. La società ha investito tanto”.
MIO SOGNO - “Modellare la mentalità che c'è a Roma. Non accontentarsi quando le cose vanno bene e non deprimersi quando vanno male. Un sogno poi l'ho realizzato, è stato vincere un trofeo. Ora ne voglio un altro”.
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