primo piano

Mourinho: “All’Inter dissi a tutti: voi avete vinto scudetti di m**a! Ibra in spogliatoio ci venne a dire…”

Fabrizio Romano

A dieci anni dal Triplete per la sua Inter, quest’oggi José Mourinho ha parlato in esclusiva a La Gazzetta dello Sport con Andrea Elefante ricordando quelle vittorie ma non soltanto. WHATSAPP – “Dieci anni dopo siamo ancora...

A dieci anni dal Triplete per la sua Inter, quest'oggi José Mourinho ha parlato in esclusiva a La Gazzetta dello Sport con Andrea Elefante ricordando quelle vittorie ma non soltanto.

WHATSAPP - "Dieci anni dopo siamo ancora tutti insieme. Proprio l’altro giorno ho parlato con Alessio, ai miei tempi era autista del club: dove e quando succede che un allenatore che va via, dieci anni dopo parla ancora con un autista? Mai. Questa è l’Inter per me: questa è la mia gente".

TESTA DI C... - "Sono stato anche una testa di cazzo, però ero io. L'originale. Quando? Soprattutto dopo la sconfitta di Bergamo (3-1, gennaio 2009). Fui molto violento con i giocatori, solo dopo avergli detto che avevano vinto scudetti di merda e basta capii che li avevo feriti, perché solo dopo capii le cose che erano successe prima. E mi scusai".

COPPA ITALIA - "Quella finale di Coppa Italia non la volevo giocare: l’inno della Roma prima della partita, arrivai a provocare “Fermate la musica o ce ne andiamo”...".


IBRAHIMOVIC - "Il casino successe a Pasadena, il giorno dell’amichevole contro il Chelsea. Tormentone da giorni: “Ibra va al Barcellona, non va al Barcellona”, lui da superprofessionista quale è giocò 45’, ma poi nello spogliatoio disse: “Vado, devo vincere la Champions”. I miei assistenti italiani erano morti - “Senza di lui sarà impossibile vincere” - i compagni non volevano perderlo. Ero preoccupato anche io, ma mi uscì così: “Magari tu vai e la vinciamo noi”. Ero stato un po’ pazzo, ma nello spogliatoio cambiò l’atmosfera. Poi dissi a Branca: “Se lui vuole andare a Barcellona, cerchiamo di prendere Eto’o”. Lui e Milito tatticamente potevano dare una diversità alla squadra".

SNEIJDER - "Serviva qualcuno che legasse il centrocampo a due attaccanti dalla mobilità tremenda, lui era perfetto. A un certo punto non ci speravo più, ma la prima opzione era lui e Branca mi disse: “Non mollare, facciamo insieme pressione su Moratti”. Da quel giorno chiamai Moratti tutti i giorni: “Serve Wes, Wes, Wes”...".

IL DERBY - "Volevo che Sneijder giocasse subito il derby. Sfinii il team manager Andrea Butti, l’uomo che fa succedere l’impossibile: “Il transfer: deve giocare”. Poi andai da Wes: “Giocheresti?”. Nei suoi occhi non vidi sorpresa o paura: “Gioco, e quando sono stanco esco”. “Questo ha le palle, è uno di noi”, mi dissi. La domenica derby, 4-0, storia".

GUARDIOLA - "Quando Busquets cadde quasi tramortito io ero in diagonale fra la nostra panchina, la loro e il punto dove Thiago Motta venne espulso. Con la coda dell’occhio vedo la panchina del Barcellona che festeggia come se avessero già vinto, Guardiola che chiama Ibra per parlare di tattica: tattica in 11 contro 10... gli dissi in quel momento: “Non fare festa, questa partita non è finita”...".

SAN SIRO - "Se fossi tornato, con la squadra intorno e i tifosi che avrebbero cantato “José resta con noi”, forse non sarei più andato via. Io non avevo già firmato con il Real prima della finale: chi ha detto che qualcuno del Real venne nel nostro hotel prima della finale disse una cazzata. Prima della finale successe solo che scoprii lo scatolone con le maglie celebrative e scappai per non vederle. Io volevo andare al Real: mi voleva già l’anno prima, andai a casa di Moratti a dirglielo e lui mi fermò, “Non andare”. Al Real avevo già detto no quando ero al Chelsea, al Real non puoi dire no tre volte. Oggi forse potrei stare 4-5-6 anni nello stesso club, ma allora volevo essere il primo - e sono ancora l’unico, fra gli allenatori - ad aver vinto il titolo nazionale in Inghilterra, Italia e Spagna. Allora mi dissi: “Sto qui due giorni, firmo il contratto e vado a Milano quando non posso più tornare indietro”...".

I NEMICI - "Il rumore dei nemici, che poi piangevano, era bellissimo: era più forte il tremore del rumore, e se ci pensa bene è la stessa cosa: quando c’è rumore è perché c’è paura".

RITORNO ALL'INTER - Per un po’ di tempo e più di una volta, lasciata l’Inter, ha detto: «Un giorno tornerò». Perché ha smesso di dirlo? "Lo so perché mi sta facendo questa domanda. Ma io non sono pirla...".