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Maldini: “Lo Scudetto dell’Inter è indicativo! Psg, Conte, Theo-Leao e non mi vedo in altri club italiani”

Marco Astori
Paolo Maldini, ex direttore dell'area tecnica del Milan, ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Radio Serie A. Ecco le sue parole sull'esperienza da dirigente in rossonero e non solo.

Paolo Maldini, ex direttore dell'area tecnica del Milan, ha rilasciato un'intervista ai microfoni di Radio Serie A. Ecco le sue parole sull'esperienza da dirigente in rossonero e non solo.

IL MILAN - "Era presente prima che io nascessi con mio padre: per me il Milan è la squadra della mia città, l'ambiente dove sono cresciuto ed è qualcosa che va al di là del tifo e del lavoro. E' estrema passione. E non cambierà mai, il rapporto va al di là delle ere: sarà così per me e per i miei figli".

PRESENTE - "Lo sto vivendo bene dopo cinque anni molto intensi: ho dovuto abituarmi ad un ritmo diverso ma che ho avuto nel 2009 quando mi sono ritirato fino al 2018" .

DANIEL - "Come difenderlo dalle pressioni? E' un destino dal quale non si scappa, lui ha scelto liberamente di iniziare nel Milan: c'è un papà ingombrante, nei primi anni vuoi giocare e divertirti e questa cosa si perde quando ci sono aspettative. Mi pento io di quello che ho fatto nel passato ma lui sapeva a cosa sarebbe andato incontro: avessi potuto dare a lui e Christian anni più sereni, l'avrei fatto serenamente. Poi alla fine va avanti nello sport chi ha i valori".


RESPONSABILITÀ - "Io non le sento: quando sei nella società de lo impone il ruolo, ma quando vado in giro mi sento Paolo e non il milanista. Ovviamente quando mi fermano le domande sono rivolte al calciatore, ma credo che la gente ti apprezzi anche come persona: io ho provato di non scindere le due cose. E' questione di disciplina: il calcio dovrebbe insegnarti quello e l'obiettivo di capire chi vuoi essere".

DIRIGENTE - "Ho capito di volerlo fare quando mi hanno chiamato. Non è sempre chiaro quello che vuoi fare, ma avevo ben chiaro quello che non volevo fare: l'allenatore e lavorare in tv. Non era detto che quest'opportunità arrivasse, ma grazie a Dio ho analizzato bene la cosa negli anni precedenti (il Milan dei cinesi, ndr) e poi è arrivata con Leonardo e devi riuscire ad avere persone che hanno i tuoi stessi ideali e principi: si parla sempre di un lavoro di squadra. Volevo fare il dirigente perché era il Milan: e poi nei 31 anni di carriera ho avuto tante esperienze da insegnare. E poi c'è il lavoro, tutt'altro rispetto a quello che ti aspetti: c'è stato un periodo di adattamento durato una decina di mesi. Vedermi all'interno di un club italiano diverso dal Milan non ce la farei".

PSG - "Mai detto di no: prima del Milan sono stato due-tre volte a Parigi e ho parlato con Al Khelaifi e ho dato disponibilità: poi la cosa non è andata avanti. Pensandoci adesso è stato un bene perché sarei entrato in una società in evoluzione in un paese che non conoscevo, sarebbe stato un fallimento. I miei primi mesi sono stati di apprendimento, mi sentivo inadeguato e tornavo a casa non contento perché stavo imparando. Leonardo mi diceva che non avevo idea di quello che sarebbe stato il mio impatto".

STADIO - "Se vado a vedere il Milan? No, è logico. Ma lo seguo come il Monza e l'Empoli".

GIOCATORE CHE EMOZIONA - "E' una questione di relazioni: abbiamo creato non solo una squadra vincente ma un sacco di relazioni con i giocatori. Ne sono arrivati 35 negli anni, si è creato un rapporto speciale: quando vedo la fascia sinistra (Theo-Leao, ndr) del Milan è uno spettacolo".

INTER - "Il segreto dello Scudetto? E' molto indicativo quello che è successo: hanno una struttura sportiva che determina il futuro, è stata gratificata con contratti lunghi, c'è stata un'idea di strategia. Non è un caso che il Napoli sia andato male dopo l'addio dell'allenatore e del ds. Si pensa che i giocatori siano macchine ma il supporto a loro è una delle cose più inespresse del calcio. Anche loro hanno bisogno di dire le cose come stanno".

PASSATO - "Se mi fa paura? A volte sì ma non è detto che avere un grande passato da calciatore ti dia un grande presente da dirigente. Fin quando non si prova non si sa e quando non ti danno l'occasione è probabilmente perché il tuo passato è ingombrante".

SACCHI E CONTE - "Perché è finita con Sacchi? È normale, quando trovi una persona così esigente che deve gestire un gruppo, è un prodotto che ha una scadenza. Quando sei così ossessionato ti consumi facilmente e questo succede a tutti i grandi allenatori. Se sto parlando di Antonio Conte? No, di Sacchi, ma anche per lui è così, basta chiederlo ai suoi giocatori".


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