FINALE - "Monaco? A parte che il PSG era molto forte. Noi forse eravamo cotti mentalmente. Con il senno del poi noi eravamo la favorita tra la gente, battendo Barcellona e Bayern che secondo me è anche più forte. Incosciamente avevi questa cosa addosso che dovevi vincere la Champions. Abbiamo fatto una strada importante in Champions con grande fatica, gli infortuni, robe varie, in campionato eravamo ancora lì... Poi andare a Como e pensare che il Napoli potesse fare un passo falso. Alla fine se perdi il campionato e hai una finale di Champions sei un po' giù. Tutte queste robe, la tensione della finale, non hai vinto niente, devi vincere per forza la finale per non buttare la stagione. Troppa pressione addosso, e sei arrivato scarico, troppo scarico. Anche dopo la partita, non è che eri incazzato. Niente".
MALATTIA - "La malattia? Inizialmente va bene, poi dopo un mese inizia le chemio ed erano pesanti. Ero quasi non "entusiasta", ma del tipo "proviamo questa esperienza e vediamo come sono". Lo devo fare, la affronto, vediamo un po' se è come dicono, che stai male e perdi i capelli. Fortunatamente non è cambiato assolutamente niente, solo all'inizio ho pensato "cos'è questa roba qua?". Poi sono andato al San Raffaele e mi hanno detto "tranquillo, 3-4 settimane qui, il tempo che si cicatrizza la ferita e ritorni in campo". Ero tranquillo, forse anche un po' incosciente e superficiale, non capivi bene la gravità di quello che avevi. Da lì dopo un mese iniziai a giocare".
CHIVU - "Chivu è diverso da Inzaghi, ma è molto preparato, molto umano con noi, fa stare bene. Al primo anno in Serie A, ha fatto 13 panchine... Ci mette molta passione, si vede che ha giocato a calcio, sa come dovrebbe essere uno spogliatoio di vincenti, è già pronto per questo. Di calcio ne capisce, noi siao molto contenti di averlo".
INTER - "Quell'anno lì mi dicevano che con l'Inter non c'era possibilità. Poi, non si sa come... Ero molto vicino al Napoli, c'erano un po' di squadre, il Marsiglia. Ero anche contento e orgoglioso che alla mia età ci fossero delle squadre interessate. Poi alla fine l'Inter era in difficoltà, Inzaghi mi conosceva, ha spinto e allora hanno deciso di prendermi. Ero a casa di mia mamma, sono stato una settimana lì. Alla fine, a pranzo, ho detto: "Fammi chiamare Sarri". Sono andato via per lui, ma pensavo che il posto l'avrei ripreso. "Mister, non vengo più". Alle 3 del pomeriggio, il mercato chiudeva alle 8. Alla fine dovevo andare, dai".
BARCELLONA - “Ogni tanto vado in attacco a caso perché mi piace, senza chiedere. Forse è una delle prime volte che non ti arrabbi quando subisci il gol del 3-2 di Raphinha. Ho detto: “Che devo fa', bravi loro”. Non hai quell’incazzatura, ma dici “va bene”. Ero abbastanza tranquillo perché erano fenomeni, soprattutto dal centrocampo in su… Poi Yamal non pensavo fosse così forte. Ma anche Raphinha. Tutti! Ho detto: “Vado su, cosa faccio qua?! Perché devo aspettare di prendere il 4-2? Chissene frega. Non è che mi danno la medaglia se perdo 3-2: 4-2-5-2 6-2 è lo stesso. Non ho chiesto il permesso a nessuno. Mancavano 3 minuti, che stavo in difesa a fare… Anche Inzaghi mi diceva quando mancavano pochi minuti: “Vai su”. Sono andato su e sono andato subito in fuorigioco perché ho detto: “Tanto hanno la difesa alta, io non la prendo mai. Se la palla arriva in corner, io sono lì. Sono andato in 15 metri in fuorigioco. Poi è arrivato Dumfries, mi sono messo davanti al difensore, che pensava mai arrivasse quella palla. Poi ho calciato e ho detto: “Mal che vada sbaglio”".
FUTURO - “Ritiro? Non è ancora l’ora. Se mi dici: “Vai a fare l’allenatore tra due anni?”, io ti dico “No, gioco ancora a calcio”. Fin quando ho voglia e mi vorranno io continuo a giocare perché sto ancora bene e meglio di tanti più giovani, perché smettere se mi danno il lavoro? Non ho intenzione di mollare un centimetro”.
NAZIONALE - "Mai rifiutata la Nazionale, impossibile dire che non la vorrei più ma, se Gattuso non mi vorrà, non sarà un problema: il mister viene pagato per scegliere e non farò mai polemica. Ho rifiutato la convocazione solo per quella partita. Spalletti non mi aveva chiamato per un anno e, dopo quello che aveva detto ("Lo sa di che anno è Acerbi?", ndr), non mi sembrava giusto rispondergli di sì". (Spalletti, ndr) Mi ha fatto sentire vecchio ? Chi se ne frega, sarò pure vecchio per gli altri ma non per me. Se dovessi ascoltare tutto quello che dicono gli altri avrei smesso a 21 anni o forse non avrei neanche iniziato".
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