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Zanetti: “Lautaro preso in due notti: vi racconto! Ora punto fermo dell’Inter, siamo felicissimi”

Alessandro Cosattini
Intervenuto al podcast BSMT, il vicepresidente dell’Inter Javier Zanetti ha parlato della sua carriera e non soltanto. Ecco i passaggi principali, riportati da FCIN1908.it: “In Argentina è nato il mio sogno di diventare calciatore per...

Intervenuto al podcast BSMT, il vicepresidente dell'Inter Javier Zanetti ha parlato della sua carriera e non soltanto. Ecco i passaggi principali, riportati da FCIN1908.it: "In Argentina è nato il mio sogno di diventare calciatore per poi arrivare qui in Italia che è stata una grandissima opportunità. Era un mio sogno venire in Italia, in Argentina guardavamo le partite di Diego quando giocava a Napoli. Il calcio italiano è sempre molto ambito, confrontarti con grandi campioni per noi giovani è una grande opportunità. La mia carriera è stata molto veloce: iniziai in Argentina e dopo 2 anni mi arriva questa opportunità di venire all'Inter. Sinceramente in quel momento non ci credevo. Volevo prima passare in una grande squadra in Argentina, invece è arrivata subito, quando avevo 20 anni. Siamo arrivati io e Rambert, potevano giocare 3 stranieri in quel momento: l'Inter aveva preso Ince, Roberto Carlos e Rambert. Io ero il quarto. Ero uno sconosciuto, Rambert era capocannoniere. Mi ricordo la presentazione in estate alla terrazza Martini, io arrivo con le mie scarpe. Sono passato in mezzo ai giornalisti e nessuno mi conosceva. Quando arrivai in Italia ho trovato il mio posto nel mondo, mi sono innamorato e ho completato il mio percorso di crescita nel calcio e nella vita. E ho fatto tutta la mia carriera nell'Inter".

INTER - "Feeling fin dall'inizio, mi vedevano come un bambino e mi volevano aiutare e proteggere. L'ho sentito. La prima cosa che ho sentito ad Appiano Gentile è che l'Inter per me è famiglia".

VICEPRESIDENTE - "Quando ho deciso di smettere, volevo fare qualcosa legato al calcio e continuare il legame con l'Inter. Non nascondo che quando mi dice che avrei fatto il vicepresidente, ho provato grandissima allegria, contentissimo, ma allo stesso tempo grandissima responsabilità. Una delle squadre più importanti al mondo richiede grande preparazione. Ci ho pensato un po'. Poi conoscendomi ho detto ok, finisce la mia carriera come calciatore durata 41 anni e dopo tanti km corsi ho detto intraprendo questa carriera da manager. Ma inizio da manager e devo essere preparato. Non volevo essere un manager legato solo alla parte sportiva, voglio avere una visione a 360° e poi non volevo che per quanto fatto in campo mi venisse riconosciuto questo ruolo. Io devo essere giudicato per quello che faccio da dirigente. Mi sono iscritto alla Bocconi, sto facendo un percorso e spero a maggio di dare la tesi. Questo mi ha aiutato tantissimo perché sinceramente ho scoperto tantissime cose che facendo il calciatore non potevo conoscere. Mi sento molto utile in diverse aree della società".

BANDIERA - "Ringrazio l'Inter per tutti questi anni come calciatore. E poi quando mi hanno dato questo ruolo, ho ringraziato, ma avevo la necessità di prepararmi. Quando hanno visto questa mia voglia di impormi come manager anche loro mi hanno affiancato. È un percorso che facciamo insieme. Non è semplice prendere la decisione di smettere. Mi sono rotto il tendine d'Achille a 39 anni e non volevo smettere così. Ho detto: torno in campo, davanti ai miei tifosi, finisco la carriera da protagonista e poi inizio la nuova avventura. Sono tornato in campo che mancavano 15' col Livorno. Finisce la partita vinciamo, mi sento bene, ero tornato bene, sono andato a fare la doccia e ho pensato che era la mia ultima stagione. Serve intelligenza e umiltà, è difficilissimo".


MORATTI - "Per me è come un papà Moratti. Gentile Zhang quando lo ha invitato. Quando ho rivisto quella foto mi è venuto in mente quando ci vedeva a venire e giocavo anche io. È stato un momento emozionante anche per lui, perché è tornato a casa sua e anche vedere questo presidente che rende felice anche lui. Grandissimo rispetto tra Moratti e Zhang. Moratti ha detto che è sempre stata la sua grande passione".

CAPITANO - "Era Bergomi e dopo Pagliuca, mancavano entrambi e ho indossato la fascia, poi dal ’99 in poi sempre. Un momento di grande soddisfazione e onore, vedevo tutti quelli che lo avevano fatto prima di me, un ruolo di grande responsabilità. Io però credo che dipende anche dalla personalità di ognuno, a me piaceva essere da esempio, poche parole e tanti fatti. Non facevo nulla per interesse personale, ma per il bene comune. Penso che tutti i miei compagni mi hanno rispettato per questo durante la carriera. Io non sono cambiato da prima senza fascia a dopo. Io sono stato capitano di Ibrahimovic, Eto’o, Baggio, Simeone, Figo, grandissimi campioni che tranquillamente potevano essere capitani. Ho sempre avuto grande rispetto da loro. Più difficili da gestire? Devi guidare tante personalità, Ibra per esempio aveva un carattere duro, ma appena ci parlavi ti mettevi d’accordo, lui capiva tantissime cose. Con Balotelli che era giovane, un talento unico, ci sono stati momenti di difficoltà. Ma parlando una soluzione si trova, senza lasciare che passi il tempo e il problema diventi più grande. Litigare con qualcuno? Succede ed è giusto che sia così, ci si confronta e si parla, io dicevo sempre che il problema è da risolvere pensando al bene del gruppo".

RONALDO - "Prima che arrivasse dal Barcellona, era imprendibile: potenza, dribbling, freddezza davanti al portiere, era unico. Lo fermavi solo facendo fallo. Era un ragazzo solare, sempre divertente e positivo lui".

LAUTARO - "Io vedo l’Inter come sta giocando e vorrei giocare con tutti loro, sono tutti forti. Con Lauti che è argentino sarebbe stato bello. C’è un rapporto bello perché tutto inizia quando l’abbiamo comprato. Ausilio, Marotta, Baccin, ci confrontiamo e decidiamo la strategia. Quando abbiamo preso Lautaro, lui era al 90% dell’Atletico, io conoscevo uno dei procuratori. Io parlo con Ausilio e lui mi dice peccato, perché erano molto avanti. Poi mi chiama questo amico dopo due settimane e mi chiede di parlare con noi. In due notti abbiamo chiuso per Lautaro, mancava l’accordo col Racing. Io avevo un grande rapporto perché c’era Milito, gli ho detto che sarebbe arrivato Ausilio per chiudere e loro lo aspettavano. Ausilio in Argentina chiude, con Lautaro avevamo chiuso, lui aveva 20 anni e pensavamo al futuro dunque, in 3 o 4 anni, non nell’immediato. Devi avere una visione al percorso a 360° e ricordo una sua partita in cui fece tripletta e lui a 20 anni dopo disse di essere contento dei 3 gol, ma non della prestazione, perché per lui non aveva giocato bene. Vedevamo questo Lautaro di ora, che cresce di anno in anno. È un punto fermo e siamo felicissimi. C’era questa empatia, rispetto, la voglia anche da parte sua. È un ragazzo umile, ascolta, si vuole migliorare e i risultati arrivano poi. Lautaro è il nostro capitano, un punto fermo, ha senso di appartenenza e siamo felicissimi. Oggi diventa molto più complicato, le nuove generazioni vogliono tutto subito, invece ci vuole un percorso. Per ottenere serve sacrificio, non è tutto dovuto. Bisogna lavorare, parlo anche da papà e cerco di trasmetterlo ai miei figli".

RETROSCENA REAL - "Ho avuto offerte importanti di club europei, ho sempre messo sulla bilancia tutto, anche il lato economico, ma soprattutto ho valutato come stavo bene ecco, nel posto in cui ero. Al Real Madrid sono stato molto vicino. Quando mi fecero la proposta era però un momento difficile per l’Inter e io volevo lasciare un segno all’Inter. Non potevo andarmene in quel momento di difficoltà. Sono cambiate le dinamiche oggi, è anche giusto sia così, cambiano i tempi, c’è più informazione, più consapevolezza, sono seguiti diversamente oggi i ragazzi. I valori devono restare sempre però, è la base. Studio io ancora adesso, mi confronto coi dirigenti e dico sempre che uno può avere più o meno competenze, ma la differenza la fanno i valori umani".

RIVALITÀ - "Derby e Juve, le più sentite per una questione di storia dei tre club. Giocare quel tipo di partite creava qualcosa di speciale. Ho sempre avuto grandissimo rispetto ad affrontare Paolo Maldini. Al di là della rivalità, era una cosa bella perché affronti un grandissimo campione dentro e fuori dal campo. Anche adesso che ci troviamo ci abbracciamo, c’è grande rispetto anche con Del Piero, Totti, Buffon. C’è anche questo nel calcio. Il calcio unisce. In campo ognuno difende la propria maglia, fuori c’è il rispetto che viene prima di tutto".

MOURINHO - "Quel momento rimarrà in eterno, siamo gli unici italiani ad aver fatto il Triplete. Ricordo a Madrid, quel momento era il coronamento di un sogno per tutti noi e per Mourinho, un’annata indimenticabile per tutti. Ho avuto e ho ancora un grandissimo rapporto con Mou, da calciatore e anche adesso quando ci troviamo. Era riuscito a creare una famiglia, oltre ad avere grandi campioni, era una squadra con grandi personalità dove tutti volevano fare quella cosa per l’Inter, in quel momento. Quella Champions è stata complicata per noi, a Kiev nel girone perdevamo 1-0, eravamo fuori dalla Champions. Lì tu senti che quella squadra ha qualcosa in più, Mourinho ha tolto due difensori all’intervallo e ha messo due punte. Vinciamo 2-1 e lì è stato il primo segnale che si poteva fare qualcosa di importante. Tutti poi ricordano il Barcellona, quella per me era la squadra migliore fatta di super campioni. Lì è stato lo spirito di squadra dopo il rosso di Motta, l’unione del gruppo di arrivare all’obiettivo che era la finale e ci è andata bene".


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