PROBLEMI CON LA TIMIDEZZA - “Rende più lungo e complicato l’adattamento in una nuova città e in nuovo club. Io ho lasciato Orléans, dove sono nato, quando avevo 13 anni. Sono andato a giocare a Chateauroux. Dormivo con altri ragazzi in una foresteria. Ero solo e non c’era nessuno ad aiutarmi. Ho dovuto imparare a far tutto. Prima di tutto, ho dovuto capire che, se le cose non le facevo io, nessuno le avrebbe fatte per me. Ho imparato a sopravvivere. Mi è servito a diventare uomo in fretta. La gente ti rispetta se in campo sei forte. Altrimenti ti massacra. Se non ero forte abbastanza? Forse non abbastanza in quel momento. Ma ho fatto tutto ciò che serviva per diventarlo”.
PROBLEMI ALLA SCHIENA - “A 15 anni mi viene diagnosticata una frattura da fatica alla schiena. Era come se mi si fosse staccato qualcosa qui dietro (si tocca dietro alla spalle). Il dottore mi disse che non avrei più potuto giocare. Piansi molto. Poi decisi di non arrendermi. Vidi un altro medico, un altro e un altro ancora, finché non trovai quello che mi annunciò che avrei potuto continuare, a patto che portassi un busto per 6 mesi ed eseguissi determinati esercizi. Per quel busto i compagni hanno riso di me, perché quando sei giovane non sei intelligente, ma ne sono uscito più forte”.
IL MARSIGLIA NEL 2016 - “Quella era una delle fasi della mia vita in cui ero chiamato a sopravvivere. Alla gente piace parlare, e se può dire male di te è più contenta rispetto a quando è costretta a farti i complimenti. Ma arriva un momento in cui devi dire basta e dimostrare chi sei. Io meritavo rispetto, perché lavoro tanto ogni giorno. Dovevo far vedere che ho carattere, sono forte dentro. Senza un carattere forte non sarei arrivato dove sono”.
L'ESPLOSIONE AL MARSIGLIA -“Ho detto che nessuno ha fatto meglio di me in quella squadra? L’ho detto perché lo penso. E lo penso perché è vero: ho fatto tanti gol e assist. Per me il Marsiglia è il club più bello e grande di Francia, ma giocarci è difficile perché ha intorno tanta passione, una passione che non si vede dovunque. La città 'vive' la squadra, vi si identifica fino a diventare una cosa sola con essa. E, quando c’è tanta passione e non si vince, diventa difficile essere un giocatore dell’OM. Se la gente ha preteso troppo da me perché ero il più forte? Forse, ma non posso risponderti io”.
MONDIALE VINTO NEL 2018 - “Con chi ho legato di più? Mbappé, Mandanda, Giroud, Lucas Hernandez... Con Mbappé giocavo a Fifa alla Playstation e a carte. Alla Playstation io prendevo il Real, lui non ricordo. Una volta che ho perso, ho tirato un pugno alla porta della camera e ho fatto un buco grosso così”.
NEWCASTLE NEL 2015 - “Perché lì non ho brillato? Semplice: perché non volevo andarci. Io non avrei mai lasciato Marsiglia, fu il presidente a venire a da me ad annunciarmi che era costretto a cedermi perché il club aveva bisogno di soldi e gli inglesi offrivano tanto per avermi. Dissi di sì, con la promessa però che sarei tornato. Ero innamorato del Marsiglia e il mio lavoro lì non era finito”.
IN SMOKING ALLA PRIMA PARTITA - “Sì è vero: non lo so perché, mi andava (ride). Cose che si fanno da giovani. Se il capitano Alan Shearer si arrabbiò? Credo di sì, ma non mi importava”.
TIGRES E SOGNO MILAN - “Perché al Tigres? Dopo otto anni al Marsiglia ero mentalmente stanco. Avevo bisogno di staccare, fare qualcosa di diverso. Se avevo altre offerte? Sì: il Marsiglia mi aveva proposto altri cinque anni di contratto, e poi mi aveva chiamato il Lione, avevo parlato con Giuntoli, che era al Napoli, con Maldini, che mi voleva al Milan, la squadra che sarebbe stato, ed è ancora, il mio sogno. Pure l’Atletico Madrid mi voleva. Ma dopo il Covid tutti i club erano in una situazione economica difficile, mentre dal Messico mi era arrivata un’offerta veramente importante".
DEPRESSIONE - "Sentivo anche il bisogno di stare più vicino alla famiglia, mio figlio Alessio aveva appena 1 anno. Non sapevo che fare e sono andato da una psicologa: dovevo capire cosa fosse meglio per me: continuare al Marsiglia nonostante il carico di stress che mi portavo dietro, cambiare squadra, cambiare Paese, cambiare continente addirittura. Al primo incontro ho pianto. È stato, come si dice, liberatorio. Le ho parlato della mia vita, delle difficoltà passate e presenti, e lei mi ha detto: 'Tu hai attraversato la depressione. Come ho reagito? Ho pensato: non è normale perché vivo la vita più bella del mondo, quella del calciatore. Quella che volevo. Se sono arrivato a stare male è arrivato il momento di cambiare, prendermi cura di me e stare più vicino a chi mi vuole bene davvero, la mia donna e mio figlio. Ne sono uscito stando di più a casa e partendo per il Messico alla ricerca di un’esistenza più tranquilla. Ma è stato l’errore più grande della mia vita: sono un atleta di grande livello, il ritmo della mia giornata è dettato dal calcio, e il livello del calcio messicano non mi dava la possibilità di mantenere certi standard. Per questo ho detto subito sì all’Udinese. All’inizio è stato difficile perché non sentivo la fiducia dell’allenatore, ma ho lavorato tanto per dimostrare che sono un giocatore forte e che nel calcio c’è futuro per me”.
FUTURO IN UN GRANDE CLUB - “A giugno scade il mio contratto con l’Udinese. Qui sto bene, davvero, ma ho sempre detto che un giocatore di alto livello ambisce a giocare al livello più alto. Non so come andrà, ma di sicuro io mi sento un giocatore da top club”.
CAPITANO E LEADER - “Se mi sento il leader dell'Udinese? La fascia di capitano è per me un’esperienza nuova. Mi piace la relazione coi compagni. Prima di ogni partita parlo alla squadra, però preferisco i colloqui 'uomo a uomo'".
UDINE - “Mi sono sentito a casa nel Marsiglia, nonostante tutto. E, sì, mi sento a casa a Udine, dove mi è stata assegnata una responsabilità importante in campo e nel rappresentare il club e dove sento la fiducia di presidente, compagni e allenatore. Runjaic è un tecnico che rispetta tutti i suoi giocatori, lavora molto e conosce a fondo il calcio. Ci siamo confrontati nel suo ufficio molte volte: ha passione”.
CALCIO ITALIANO - “Tattico e difensivo. Per un giocatore offensivo come me è più difficile. Ma proprio per questo penso di essere più forte di prima, perché il calcio italiano ti fa crescere. E poi in Serie A ci sono tante buone squadre, non solo due o tre come in Spagna o Germania. Dopo la Premier ci siete voi”.
PACE - “Se ho trovato la pace? Non lo so. So che voglio essere il più forte possibile. Non sono ancora al mio massimo, ma sono sicuro che verrà. Ho sempre bisogno di un po’ di tempo per fare le cose, però alla fine arrivo dove volevo”.
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