MENTALITÀ - "Sai come abbiamo vinto l’ultimo scudetto, quando giocavo? Con la mentalità. Perché con la giusta motivazione, con la giusta mentalità, un atleta è capace di tutto. Non eravamo la squadra più forte, ma abbiamo vinto perché eravamo più forti mentalmente. È questo che cerco di portare, sempre. È diverso, ovviamente, a Milanello e a Casa Milan, perché quando vedo un calciatore, so cosa fare per motivarlo, so chi devo abbracciare, so a chi devo fare un sorriso, so chi devo guardare male, so con chi devo fare la voce grossa. Quello spogliatoio lo conosco benissimo. Con la parte di business, è più sottile. La cosa a cui tengo di più è l’idea di unire questi due mondi, perché non c’è la squadra di là, a Milanello, e la società, qui, a Casa Milan. C’è solo una cosa, c’è solo il Milan. E io voglio unire questi mondi. È così che lavoriamo. Arriva un nuovo giocatore? Viene con me. Mi dicono: 'Ibra, sarebbe bello se Walker visitasse Casa Milan'. Io rispondo: 'Non ti preoccupare, visiterà ogni piano, e saluterà tutti. Lo farà'. E l’ha fatto. È stato incredibile. Così vede tutto il sistema: il business, il commerciale, la squadra, lo staff. Tutti insieme".
MILAN - "Alla fine, il mio ruolo non conta. Quello che conta è il Milan. Noi vogliamo che il Milan abbia successo. Tutto quello che facciamo qui, lo facciamo per il Milan. Non c’è ego, almeno per me. L’ho detto, non è un one-man show. Preferisco stare nell’ombra, non voglio nemmeno prendermi nessun merito. Credimi, ho detto ai ragazzi: 'non voglio nemmeno essere nelle foto o nei video'. Poi ho capito che devono sfruttare certe dinamiche, e questo lo rispetto. Ma fidati: se fosse per me, non mi vedresti. Lavorerei e basta. Lavoro, lavoro, lavoro. Il Milan è la stella. Non io. Io sono qui oggi, sono qui domani, ok. Ma dopodomani? Magari non ci sono più. Il Milan invece continua a esistere. E io lo faccio per il Milan, non per me. Il Milan mi ha dato felicità la prima volta. E me l’ha data anche la seconda volta. Ma non lo faccio per un interesse personale. Non ho bisogno di questo. Sono famoso, non mi servono soldi, e non mi servono nemmeno follower. Lo faccio per il Milan, e perché voglio imparare cose nuove. Quando giocavo, tutto girava intorno a me. Oggi sono il bodyguard: se devono sparare a qualcuno, che sparino a me. Io voglio proteggere squadra e società. Non mi fa paura, perché io sparo due volte indietro. Quindi posso essere io il bersaglio. Ho passato dieci anni di guerra. E se vivi una guerra nei Balcani, non è che ti chiamano per dirti come va. Sei tu che aspetti la chiamata, per sapere cosa sta succedendo. Per sapere se la tua famiglia sta bene. Ogni giorno qualcuno ti chiama piangendo, e tu non sai se domani saranno ancora vivi. E tu non puoi fare niente. Se qualcuno ha passato dieci anni così, non ha paura di nessuno. Perché quella è un’altra cosa. Quella è la vera paura. E quando i media parlano di me? Non mi tocca. Per 25 anni da calciatore mi hanno attaccato ogni giorno. Perché? Perché ero il migliore. Che parlino bene o male, se parlano di te significa che sei in cima al mondo. E qui è uguale: tutti parlano sempre del Milan. Perché? Perché siamo i più grandi".
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