FORMA - "Eh, all’inizio sono salito un po’ di peso, come succede nelle prime settimane. Subito subito. Sono andato a mangiare fuori, ho ordinato un piatto di pasta. Poi sono così gentili e ti dicono: “Dai, prova anche questo”. E il pane. E un altro piatto di pasta, diverso. E poi una piccola porzione da assaggiare, e infine un dolce. E io: “No, dai…” e loro: “Ti faccio mezza porzione di tiramisù”. E purtroppo qui è tutto buono. Poi è arrivato il momento in cui mi sono pesato e ho visto tre cifre per la seconda volta in vita mia. E lì ho detto: “Ok, così non si può andare avanti». Ora devo tornare in forma”.
JURIC - "Se Juric non fosse stato esonerato dopo la partita contro il Bologna, probabilmente la settimana successiva me ne sarei andato, sì. Sì, credo proprio di sì. Avrei lasciato perdere. Preferisco giocare male piuttosto che non giocare affatto. Essere spinto nell’insignificanza da Juric… è stato brutale. Mi ha davvero buttato giù. Non è stato facile affrontarlo. Mi era chiaro che se non fosse arrivato un cambio in panchina, sarei dovuto andare via, perché altrimenti sarei esploso prima o poi. Cerco di gestirla in modo professionale, non dico nulla pubblicamente. E credo di non averlo mai fatto, nemmeno nei momenti in cui non giocavo. Ma dentro, ovviamente, ribolle tutto. Cioè, proprio al punto da fare delle brutte partite anche quando finalmente giochi qualche minuto. Devo accettarlo così com’è adesso, ma dentro di me penso anche: “Ehi, non me lo meritavo”. Quello che mi ha infastidito è stato che, in una conferenza stampa, credo abbia detto qualcosa tipo: “Non guardo ai curriculum o a ciò che uno ha raggiunto”. Ma il mio pensiero era: “non stiamo giocando bene, la situazione non è buona, non otteniamo risultati”. Come ti viene in mente di non provare almeno a farmi giocare? Cioè, se vinciamo ogni partita, anche senza giocare bene, se tutto funziona, se vinciamo sempre e facciamo spesso clean sheet, allora lo capisco. In quel caso, mi metto anche io lì e penso: “sì, lo farei anch’io da allenatore”. Ma io ero lì a pensare: “lo sai che so difendere, che so come funziona il calcio. Fammi almeno scendere in campo e dammi una possibilità”. Sì, alla fine me l’ha data, una sola volta".
AUTOGOL A FIRENZE - "Onestamente, mentalmente non ero affatto pronto per giocare. Proprio per niente. Quando sono entrato in campo, ho avuto una sensazione completamente estranea. Primo colpo di testa spazzato, secondo colpo di testa nella mia porta, e lì mi sono detto: “Forse non deve andare”".
RANIERI - "La pressione era: “Se adesso non rendo, allora si dirà: tre allenatori non mi hanno fatto giocare, il problema deve essere lui. Ok, se ora non rendo, allora ho fallito”.
ERRORE A BILBAO - "Mi ha fatto davvero male, il fatto di aver tolto alla squadra e ai tifosi – a prescindere dall’eliminazione – ma anche a me stesso, la possibilità di vincere un altro titolo internazionale. E questo fa male, ovviamente. Ma il pensiero che hai appena detto, cioè che potesse essere l’ultima partita europea della mia carriera, mi ha accompagnato per tutto il giorno prima della gara. Prima del fischio d’inizio. Già prima della partita mi sentivo bloccato. Credo di non essermi mai sentito così male in campo in tutta la mia vita, come in quei dieci minuti – purtroppo solo dieci – a Bilbao. Le gambe mi sembravano pesantissime. Non avevo lucidità, davvero. Mi sentivo malissimo. E proprio da lì è nato l’errore. Ricordo che ho ricevuto il pallone e inizialmente volevo lanciarlo lungo. Poi ho pensato: “No, in questo momento non ho assolutamente il tocco giusto per farlo”. Meglio tenerla semplice, mantenere il possesso. Eravamo già stati costretti a rincorrere tanto. Guardo a destra, voglio passarla a Mancini, vedo l’attaccante del Bilbao e mi ricordo perfettamente che nella mia testa penso: “È troppo rischioso. Troppo rischioso, meglio di no”. E all’improvviso il pallone era già partito. Era già in viaggio. Non lo so nemmeno io. Mi ha dato fastidio il fatto di non essere riuscito a portarmi mentalmente in un altro stato, in un altro “schema”, per così dire. Che tutta la mia giornata fosse condizionata da quel pensiero: “Forse oggi è l’ultima partita internazionale della mia carriera”. Preferisco perdere un duello in velocità contro un ventiduenne che corre a 36 km/h. Ok. O anche a 33 km/h, che ormai basta comunque per perdere un duello. Ma non così. Non in quel modo".
FUTURO - "Se ho deciso se giocherò ancora? Al 100% non si può mai escludere nulla, ma è estremamente improbabile, davvero estremamente. Se lo facessi ancora una volta, non inizierei di nuovo a settembre. Dovrei ricominciare a luglio, e non avrò assolutamente voglia di allenarmi di nuovo a luglio, assolutamente no. E già questo, di per sé, lo esclude. In più, servirebbe qualcosa per cui io abbia una passione così folle da essere disposto a fare di nuovo quel sacrificio nella vita privata – soprattutto vedere poco mio figlio. E questa cosa, al momento, non la vedo. L’unica, nella mia sfera emotiva, per cui potrei farlo, è il BVB. Solo per il Borussia Dortmund lo farei. E credo che non succederà. Cioè, se il Dortmund dovesse chiamare… allora ci penserei seriamente, sì. Perché chiudere la carriera da giocatore del BVB, con ancora un anno, sarebbe una cosa che ho in testa. Ma posso dirlo sinceramente: questo discorso l’ho già affrontato la settimana scorsa. E non credo che succederà".
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