I QUATTRO GOL AL REAL MADRID - "I quattro gol al Real Madrid? Ho il pallone di quel giorno, erano 75 anni che qualcuno non ci riusciva. È stata una notte magica, qualcosa di importantissimo, che non hanno in molti. A casa ho anche la chiave di New York, è una cosa che viene data solo a persone importanti come medici, dottori, militari. Cittadini illustri, insomma, quelli che hanno realizzato qualcosa di importante per la città. L’hanno regalata a tutti noi giocatori dopo che abbiamo vinto il campionato, così come la Coppa della MLS".
LONTANANZA DALLA FAMIGLIA - "Quando vai via da casa ciò che ti manca di più è la famiglia, il vivere quotidianamente amici e parenti. Sin da bambino però avevo il sogno di giocare a calcio, dovunque. I primi mesi sono sempre i più difficili perché non sai cosa succederà in futuro. Io in Cile giocavo poco, avevo tanti problemi, non avevo un contratto, mi pagavano poco, mi mancava mia nonna, mio padre e tanto altro. In quel momento ti chiedi se ce la fai ad andare avanti o meno. Non potevo giocare, mi allenavo con le giovanili, mi dicevano che i documenti sarebbero arrivati, ma niente. Tutto questo mi consumava perché è passato tanto tempo. Poi alla fine ce l’ho fatta. Il mio desiderio di diventare un calciatore era troppo forte, non mi importava più di nulla, ero concentrato sull’obiettivo. I miei amici a quell’età andavano alle feste, mi mandavano foto, e io invece dormito e mi allenavo. Ma non mi è mai pesato perché avevo un sogno, quello di giocare a calcio. Volevo aiutare la mia famiglia, avevo promesso a mia nonna che sarei diventato un calciatore professionista. In Cile ho avuto anche l’opportunità di vivere con mio padre che stava lì. Prima non ci vedevamo molto perché io stavo in Argentina, poi siamo stati insieme quasi un anno e questo ci ha uniti molto. E alla fine mi sono spostato in Uruguay a giocare".
HOBBY - "A casa ho una sala giochi, la uso quando vengono i miei amici o la mia famiglia. Ho anche la PlayStation, ci gioco per staccare un po’, un’oretta al giorno. Mi piace giocare a Call of Duty e nient’altro. Nemmeno a FIFA, lì sono terribile. E poi quando sto qui voglio allontanarmi un po’ dal calcio. Sono anche un grande appassionato di scacchi, da quattro-cinque anni ho iniziato ad apprezzarlo molto. Gioco anche online, mi piace competere. Non sono un fenomeno, ma mi diverto. Il tatuaggio della ali? Non è un riferimento alla Lazio, l’ho fatto prima. Mi piacevano e volevo tatuarmele. Il vino? In famiglia siamo grandi appassionati, ne abbiamo tantissimi in cantina. È un nostro hobby, li uso per fare i regali con il mio cognome sopra. Non sono ancora in commercio, adesso siamo un po’ fermi ma abbiamo tante bottiglie. È un processo lungo. Ma chissà in futuro, non si sa mai. Può nascere qualcosa di nostro, con i miei fratelli".
PREPARAZIONE - "A Roma ho anche la mia palestra personale: da quando sono arrivato in Europa, dal Girona in Spagna, faccio del lavoro extra e mi segue un nutrizionista. A New York non lo avevo perché mangiavamo direttamente al centro sportivo. Io ora gli mando il programma della settimana e di tutte le partite, a seconda di quello mi dicono cosa devo mangiare. Ovviamente non sono troppo ossessionato, ogni tanto mi concedo anche qualche strappo alla regola. Poi lavoro anche con un psicologo analista, prima delle partite mi informo su tutto: dai difensori che devo affrontare alle loro caratteristiche e tanto altro. Faccio pure diversi esercizi di respirazione che mi servono in partita e in allenamento, è una cosa che bisogna portare avanti con costanza nella vita, respirare con il diaframma. Mi aiuta tanto per respirare il più possibile con il naso e meno con la bocca, migliora anche il sonno durante la notte. Cerco di essere il più professionale possibile, di godermi al meglio la mia carriera che è breve. Provo a sfruttarla al massimo, a investire su tutto ciò che mi può servire. Ho una stanza dove la mattina vado a fare stretching e meditazione. Mi ha insegnato tutto il mio mental coach, mi piace riposare un po’ la testa e lasciare da parte il telefono, così mi rilasso".
LA COLLEZIONE DI MAGLIE - "Ho tutta la mia collezione di magliette da calcio ordinate. Ne ho tantissime mie di quando giocavo in MLS al New York City. Ho anche quella del mio esordio con l’Argentina e due del pre-olimpico. Della Lazio ne ho una nera dell’anno scorso della Lazio, quando ho cambiato dal numero 19 all’11, e una della mia prima stagione quando giocavamo la Champions League. Poi ne ho tenuta anche una del Girona firmata da tutti i miei compagni quando sono andato via. Di altri giocatori ho quelle di Maxi Moralez, David Villa, tra le più belle che ho, di Barco, di Rooney, tutte di quando stavo negli Stati Uniti. Poi ne ho tantissime della Serie A, come quella di Nico Gonzalez alla Juventus o di Retegui, Beltran, Castro, Alcaraz, Palomino, Olivera del Napoli, di Pedro alla Lazio che me l’ha data. Tengo anche tante maglie straniere, come quella di Medina, Reinier del Borussia Dortmund, Delort, Danilo del Manchester City, una della Nigeria che mi ha regalato Dele-Bashiru, della Danimarca di Isaksen, dell’Uruguay di Vecino e del Senegal di Dia. Sono tutti miei compagni e amici. Della Liga ho diverse magliette, per lo più di giocatori argentini. Però ne ho anche una del Chelsea che mi ha regalato Enzo Fernandez, tra le più belle; una di Hazard del Real Madrid, ho giocato contro di lui al Bernabeu. Mi hanno regalato anche una divisa dell’Argentina per l’ultima partita di Di Maria in Nazionale, è davvero speciale. Era la mia preparazione convocazione, lui è un giocatore pazzesco, lo seguivo sin da piccolo. Si è davvero meritato tutto ciò che ha ricevuto in carriera".
CONFRONTO MARADONA-MESSI - £Il tatuaggio ‘El mas humano de todos los dioses’? Siamo una famiglia molto ‘Maradoniana’, soprattutto i miei fratelli. Io non l’ho vissuto come giocatore, ho visto molto di più la sua seconda parte di vita. Avevo voglia di tatuarmi qualcosa di argentino e ho scelto Diego. Anche di Messi vorrei tatuarmi qualcosa, un suo autografo magari sulla gamba. Non ho ancora avuto l’opportunità, ma voglio farlo. Loro due sono i migliori della storia del calcio argentino. Io ho avuto l’occasione di godermi a pieno Messi e anche di giocare insieme a lui, voglio che tutto questo resti sulla mia pelle".
XAVI - "La foto con Xavi? Era il 2017, giocavo in Cile e siamo finiti a fare un triangolare in Qatar. Nel giorno libero che avevamo siamo andati a fare shopping vicino all’hotel e casualmente l’ho incontrato, visto che lui giocava lì. È un bel ricordo”.
RONALDINHO - "Ronaldinho? Ho giocato con lui in un evento, ho fatto 4-5 giorni a Miami, mi aveva invitato un mio amico. Doveva esserci anche Roberto Carlos, ma non c’era".
ESORDIO CON L'ARGENTINA - "L’esordio con l’Argentina? Il 5 settembre è passato un anno. Non mi ero nemmeno scaldato, vincevamo 3-0 e aveva appena segnato Julian Alvarez. Ho guardato Scaloni che mi ha detto: “Taty sbrigati, vieni!”. Ho messo subito la maglia e sono entrato. Mi ero preparato tutta la vita per quel momento. La foto con Messi? Gliel’ho chiesta in allenamento, l’ultimo prima della partita. Quando sono arrivato mi ha trattato molto bene, come a tutti gli altri ragazzi che erano nuovi in squadra. È una persona che non parla tanto, sta con il suo gruppetto composto da De Paul, Paredes e gli altri. Comunque con noi si è comportato in maniera spettacolare, anche durante gli allenamenti. Lui è il tipico leader silenzioso, viverlo da dentro è incredibile perché noti dettagli che da fuori non si vedono. È il migliore della storia e lo sarà ancora per molto tempo".
INFANZIA - "Noi eravamo una famiglia molto unita. Mia madre lavorava a scuola, faceva il doppio turno come la maestra elementare. Si alzava alle sette del mattino e stava lì fino a mezzogiorno, poi magari mangiava a casa e tornava a lavorare fino alle sei di sera. Era così tutti i giorni, questo perché anche noi avessimo qualcosa da mangiare. Poi i miei fratelli erano già grandi, quindi anche loro cucinavano qualcosa. Io andavo a scuola la mattina e tornavo all’una, dopo mangiato andavo ad allenarmi alle tre del pomeriggio. Fino alle cinque giocavo a calcio a undici nel Murialdo, poi alle sei mezza andavo a giocare a calcetto nella selezione del Mendoza. Arrivavo a casa a mezzanotte o anche più tardi. Il quartiere in cui vivevo poi non era così bello, ho passato molto tempo per strada e avrei potuto seguire le cattive compagnie che giravano. Mia madre è tutto, mi ha aiutato tantissimo, la porto sempre con me. Mi sostiene, mi dà tanta energia, si prende cura di me. Mi ha insegnato anche a fare attenzione all’energia negativa. Siamo molto superstizioni, percepisco le sensazioni negative delle persone, così come la mia ragazza. Sono molto attento a queste cose. Anche mi nonna è stata importante, mi ha reso tutto ciò che sono oggi. Tutta la mia famiglia mi ha insegnato i valori giusti, così come il calcio e gli allenatori che ho avuto da quando sono piccolo. Loro mi hanno guidato in tutta la mia carriera, e credo che anche questo sia stato fondamentale".
GLI INIZI - “Io sono un argentino di sangue proprio, non ho nessun’altra origine o un passaporto diverso. Ma non ho mai giocato in Argentina ed è una cosa strana. Spesso mi chiedo il motivo, non è successo per situazioni diverse, potevo giocare nel Lanus o nel River Plate, ma alla fine non è successo. Ho giocato nel Murial, una squadra del quartiere di Mendoza, e avevo il potenziale per andare altrove. Ho fatto un provino con l’Universidad de Chile e mi hanno preso. Lì sono stato quasi un anno giocando nelle giovanili e riuscendo anche a debuttare in prima squadra, in Copa Sudamericana, con Beccacece in panchina. Tra l’altro c’erano stati problemi dei burocratici che non mi avevano permesso di giocare prima, sono stato fermo quasi 8-9 mesi fino ai diciotto anni quando ho firmato il mio primo contratto da professionista e ho esordito”.
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