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Ribery: “Chiesa e Castrovilli, Alaba è l’esempio. Mi sono allenato fino alle 4.30 di notte perché…”

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Franck Ribery in estate ha scelto la sfida del calcio italiano, accordandosi con la Fiorentina a 36 anni per una nuova esperienza. Il francese ha rilasciato una lunga intervista all’edizione di Firenze del Corriere della Sera, dove ha...
Alessandro Cosattini

Franck Ribery in estate ha scelto la sfida del calcio italiano, accordandosi con la Fiorentina a 36 anni per una nuova esperienza. Il francese ha rilasciato una lunga intervista all'edizione di Firenze del Corriere della Sera, dove ha parlato a 360 gradi di se stesso e della nuova avventura in viola:

«Quando sono arrivato non pensavo che il mio rapporto con la tifoseria sarebbe cresciuto così velocemente. Però già avevo capito qualcosa alla presentazione allo stadio. Ho sentito che era una cosa speciale, che tutti erano contenti che fossi venuto a giocare qui. Solo che non avevo fatto preparazione, avevo lavorato da solo a casa con un personal trainer e quindi non ero ancora pronto».


È stata dura allenarsi da solo?

«Molto, molto difficile. Era la prima volta che mi succedeva in carriera. È diverso quando sei in campo con la squadra. È tutta un’altra cosa. Quindi ero molto motivato a lavorare e trovare la forma perché volevo aiutare da subito la squadra, la società. Lo dovevo ai tifosi. Dissi subito che avevo bisogno di tempo, ma già con la Juventus mi sono sentito molto meglio in campo».

Perché ha scelto la Fiorentina? Si dice che sua moglie abbia avuto un peso importante nella sua scelta...

«Sì, perché stavo vivendo una situazione difficile. Avevo contatti con squadre inglesi e italiane ma ho sentito subito la fiducia di Pradè, di Barone e ho parlato anche col mister. Ho sentito che sarebbe stato speciale. C’è stata immediatamente fiducia e calore da parte di tutti. Così mia moglie mi ha detto: “Secondo me tu andrai alla Fiorentina”. Io l’ho guardata e le ho risposto: “Forse hai ragione”. Dopo due settimane eravamo qua e lei mi fa: “Visto? Guarda dove siamo”. Aveva ragione. Ho parlato tanto anche con Luca Toni che mi ha raccontato dei tifosi e del club. Sono veramente molto felice di essere venuto a Firenze».

A proposito di società è stato appena annunciato il nuovo centro sportivo. Sarà pronto fra due anni e mezzo, lei ci sarà?

«Non lo so, non ci ho ancora pensato. Ma due anni potrebbero essere un tempo possibile. Speriamo di essere ancora alla Fiorentina».

Firenze sarà la sua ultima tappa?

«Io sono venuto perché ho tanta fame, motivazione e magari per riuscire a vincere qualcosa in maglia viola».

Quanto ha inciso sulla sua scelta il fatto di tornare a una dimensione calcistica più a misura d’uomo dopo aver vissuto 12 anni in un super club come il Bayern? Qui è un po’ più simile a quando lei ha iniziato, o a Marsiglia...

«Quando sono arrivato, vedendo come è organizzato il club o le strutture, l’impressione è stata proprio di somiglianza con Marsiglia. Anche la mentalità della gente, dei tifosi, come la città vive la Fiorentina e pensa solo al calcio. Una città che vive per il football. E questo mi piace, mi dà una motivazione in più giocare per la gente. Vengono sempre allo stadio e sono sempre con noi. Ad aiutare e cantare. Senza di loro siamo niente. Siamo una famiglia e dobbiamo fare le cose tutti insieme. Quando giochiamo, quando esco dallo stadio e vedo la gente sono felice. E quando vinciamo non puoi neanche uscire a fare un giro perché è difficile. Certo quando vado in un ristorante e ci sono i tifosi è un po’ complicato ma a me va bene. Perché il mio lavoro lo faccio col cuore. Quando sono in campo voglio dare tout, dare tutto. La gente merita questa ricompensa alla fine della partita. Sono contento della mia scelta: la Fiorentina è un club speciale, ha una grande storia».

Anche la serie A l’ha accolta bene. È stato premiato come giocatore del mese e San Siro la ha applaudito...

«Mi fa piacere perché è un bon championnat, tutto il mondo lo conosce. Ci sono tante ottime squadre come la Juve, l’Inter, il Milan, la Roma, la Lazio. E poi la gente vive per il calcio. Anche il Napoli ora è un club importante».

Però ci sono anche problemi: cori razzisti, intolleranze. Se lo aspettava?

«Vorrei solo dire alla gente che il football è una cosa bella, quando c’è la partita e si va allo stadio deve essere come una fête, festa. Capito? Una partita è uno spettacolo dove si va per divertirsi. Per noi giocatori è importante che sia così. Vi racconto questo: quando ero giovane nel 2006 ai Mondiali ho giocato con grandissimi giocatori come Zidane, Makelele, Thuram, Henry e tanti altri. Tutti loro mi dicevano: “Guarda Franck che il football va troppo veloce”. Io avevo 24 anni e in quel momento non ci feci caso. Ora però ci ho ripensato e mi sono detto che avevano ragione. Perché il football è davvero troppo veloce, per noi giocatori il tempo è poco. Per questo per un calciatore il calcio deve essere solo una cosa bella, e non può esistere il razzismo. Siamo tutti uomini. Uguali. Bianchi o neri che cambia?».

Tornando al campo. Il calcio italiano è molto tattico. Le piace?

«Sì è un’altra cosa. Ho giocato 12 anni in Bundesliga ed è tutto diverso. In Germania devi solo correre, dall’inizio al novantesimo e non importa quale sia il risultato in quel momento. Qua è differente, c’è più strategia, tattica, controllo, è un’altra mentalità. E per me è una cosa nuova».

Per lei il calcio è anche gioia, lo ha detto spesso. Pensa che i giovani calciatori si divertano allo stesso modo di come faceva lei quando ha iniziato?

«Ora è tutta un’altra cosa rispetto a quando ho iniziato. Da ragazzi noi pensavamo più a giocare, a divertirci con gli amici. Adesso è tutto diverso perché questo mondo ha cambiato tutti. Ci sono più soldi, più sponsor, più pressioni, è troppo. È un po’ strana la situazione per i giovani».

Così il calcio rischia di rovinarsi?

«Sì, ci sono troppe cose che prima non c’erano. Prima non si pensava a comprare subito un orologio o una macchina. Ora i giovani sono diversi».

Come li si aiuta?

«Io parlo sempre con i compagni giovani. Mi piace perché loro mi ascoltano, mi vedono come lavoro prima e dopo l’allenamento. Ho vinto tutto nella mia vita e allora loro devono seguire l’esempio. Sono sempre positivo anche per loro. Però se perdo una partita mi arrabbio. Non mi piace. Devi pensare solo a vincere. Anche in allenamento, quando facciamo un piccolo torneo con tre squadre si deve vincere. È questa la mentalità che i giovani devono capire. Sono contento perché piano piano stiamo trovando la giusta sintonia. Quando parlo con ragazzi come Chiesa e Castrovilli vedo che mi ascoltano. E questo è importante perché io sono qui per aiutare, non per fare critiche. Stare in gruppo vuol dire questo, si va avanti insieme».

E invece spesso ci sono giovani che per la voglia di crescere troppo in fretta o perché si sentono arrivati magari lo dimenticano.

«È così, e invece si deve solo pensare a lavorare e a giocare a calcio. Le racconto una cosa: quando ho conosciuto David Alaba lui aveva 16 anni ed era nella Primavera. Ogni tanto ci parlavo perché avevo sentito che era un buon giocatore, con una buona mentalità. Così qualche volta lo invitavo a cena e poi lo riportavo a casa. E gli dicevo che avevamo fiducia in lui, che eravamo tutti con lui. Un giorno ha visto la mia Ferrari e il mio orologio e mi fa ”Uau”. Io gli ho detto: “No, no, non guardare nemmeno. Tu pensa a lavorare e al campo, fai così e tutto quanto arriverà da solo”. Così piano piano David Alaba è diventato un giocatore importante. Mi ha detto grazie tutti i giorni. Sono contento di questo».

I suoi maestri chi sono stati?

«Ho sempre parlato tanto con Zidane. In Coppa del Mondo ho visto come si comportano i campioni. Quale era l’esempio giusto da seguire. È così che si crea una squadra. Da soli non siamo niente. Contro undici avversari che fai, dove vai? Tutti portano qualcosa in campo e tutti insieme siamo più forti».

Raccontava prima che lei si arrabbia molto quando perde. Barone ha detto che dopo la sconfitta di Genoa lei è venuto qui ad allenarsi da solo di notte. È vero?

«Sì perché avevamo perso e perché ero arrabbiato. Volevo sfogarmi. E allora sono stato fino alle 4 e mezzo qui. Ho messo un po’ di musica, ho fatto la cyclette e un po’ di corsa e poi sono riuscito a dormire. Perché è così. Devi fare passare un messaggio alla squadra. Devi pensare solo a vincere, vincere, vincere. E non importa se non è possibile farlo sempre».

Lei ha avuto grandissimi allenatori. Montella è giovane. La incuriosisce il suo modo di lavorare?

«Sì, anche lui conosce bene il football. Parliamo la stessa lingua. È stato un giocatore forte. È un allenatore giovane che ha già tanta esperienza. Fare il mister è difficile perché hai subito la pressione e non hai mai tanto tempo. Per loro non è facile, devi avere subito risultati. A volte serve pazienza. Vincenzo viveva una situazione difficile con quel calendario duro. Prima il Napoli e solo un punto, poi il Genoa dove giochiamo molto male, poi Juventus con una buona partita ma solo un punto, poi l’Atalanta che vinci due a zero e prendi due gol...»

Dopo che è uscito lei tra l’altro...

«Infatti gli ho detto: “Perché mi hai cambiato?” (ride, ndr)».

Forse non lo rifarebbe... Anche perché lei in campo è un punto di riferimento. Un po’ come nella prima Fiorentina di Montella era un altro numero 7, Pizarro. Si sente un po’ allenatore in campo?

«Sì, so che per il mister è importante che io aiuti in questo senso. Ma più di tutto serviva la vittoria: e con le tre di seguito guarda ora come siamo tutti più sereni...».

L’allenatore che ha più inciso nella sua carriera quale è stato?

«Jupp Heynckes, un buon allenatore, ma mai ho visto una persona così in sintonia con il proprio gruppo».

Questa Fiorentina dove può arrivare? C’è un obiettivo?

«Dobbiamo pensare solo partita dopo partita. E spero che alla fine faremo davvero una bella stagione».

Ma non avere un obiettivo è una forza oppure un limite? Per lei che vuole sempre vincere deve essere strano...

«La Fiorentina è la Fiorentina, la pressione c’è sempre. Per questo è importante vincere. Anche per noi, è più bello quando c’è positività e abbiamo fiducia. Ma se le cose vanno male subentra la paura. Per quello voglio aiutare i giovani a non finire in una situazione difficile».

Commisso che impressione le ha fatto? Aveva mai trovato un presidente così appassionato?

«Io penso che sia lui che Joe Barone siano persone che mettono il cuore, sono sinceri. Sono veri, non falsi. Per me è importante sentire questo. Anche io sono uno vero».

Lei ha giocato in grandissimi stadi...

«La fermo subito, San Siro è il più bello... quando mi applaude... (ride, ndr)».

E dopo la Fiorentina cosa farà? Resterà nel calcio?

«Spero, mi piace avere un rapporto coi giocatori e stare sempre con loro...». A questo punto un fuoriprogramma. Daniele Pradè passa dalla stanza delle interviste, ascolta e gli lancia subito la proposta: «Ecco il contratto, sarai il mio nuovo mister...».